Schwa: La leggerezza dell'imposizione

L’articolo in Treccani di Vera Gheno (“Schwa: storia, motivi e obiettivi di una proposta” del 21 marzo 2022) è molto bello, chiaro, ben scritto. Da sempre sostengo tutte le diversità e quindi il movimento lgbtqia+, anche da prima che fosse solo lgbt. sono un’etero gender-conforme.

Sul cambio del paradigma linguistico e le regole che ne conseguirebbero, calato e imposto dall’alto, mi sento a disagio. Molto. Lo trovo un innesto esperantistico coercitivo senza garanzia di ritorno. vorrei potere spiegare bene la mia posizione prima che mi si salti al collo🙂.

Trovo che sia ironico sostenere con piena apertura e convinzione la libertà di gruppi di persone e i loro diritti e poi ritrovarsi con imposizioni linguistiche da parte delle stesse. La lingua italiana è espressione di secoli e secoli di distillazione di patricentrismo e patriarcato che hanno applicato, fra gli altri sistemi, anche la coercizione. Adesso per combattere questa cultura si propone di usare lo stesso strumento, la coercizione? Invece di rendere la società più libera per tutti, nella sostanza, qui e ora, partendo da ciò che abbiamo, andiamo a manipolare dall’alto le nostre libertà di forma ed espressione nella speranza di un bene futuro incerto.

Certo che il linguaggio modella, ma anche la coercizione modella, non dimentichiamolo. Questo è un bel modo, in buona fede si spera, di perpetuare schemi coercitivi preferiti dal patriarcato patricentrico. È un “parti bene e arrivi male”: gli obiettivi sono nobili e le intenzioni sono ottime ma nell’applicazione approdano esattamente dall’altra parte. chi sente di dovere o volere parlare, scrivere e leggere così, che lo faccia, come quelli che usano il dialetto o un forte colore dialettale per comunicare quotidianamente. Si lasci la libertà individuale di seguire l’esempio, senza bisogno di operare un innesto forzoso.  Sarà un indicatore di tendenza evolutiva e se sarà come “devo scendere il cane”, verrà accolto spontaneamente.

Se dovesse essere adottato e introdotto artificialmente, non avrei problemi a imparare e usare il nuovo sistema, sono in grado di farlo e posso farlo. Lo farò di regola, solo se verrò in qualche modo costretta a farlo (nella relazione 1:1 con chi me lo chiede o so che lo desidera non ho alcun problema, uso e userò per designarla il modo che la persona preferisce). Ritengo di non avere bisogno di questo regime linguistico per continuare a rispettare e a sostenere il movimento lgbtqia+ o la diversità e la distinzione di qualunque genere, compresa la mia.

Personalmente non mi sentirei di contribuire ad alcuna causa evolutiva o bene comune impiegando le mie energie a correggere forzosamente il mio modo di parlare e leggere. Anzi, ben altro. inoltre, temo che quest’imposizione generi a livello sociale più tensione, scherno e rifiuto di quanto possa essere il giovamento auspicato dai proponenti. Se invece si cerca di sfruttare l’effetto pecora, cioè, della serie “all’inizio tutti protestano poi tanto si adeguano e la cosa passa”, beh parliamone.

La vignetta qui sopra contrappone “voi” (cattivi e linguisticamente privilegiati) che vi sentite a disagio a leggere gli asterischi/schwa (finalmente, così saprete come ci si sente) a “noi” che siamo buoni e mazziati ed è una vita che aspettiamo di leggerli perché ne abbiamo bisogno ma ce li avete da sempre negati. Questo tipo di atteggiamento crea o aumenta divisione e separazione, non fa bene all’inclusione, al rispetto e all’accoglimento. Ecco da dove esce la sensazione di coercizione. Qualora non fosse propriamente istituzionale con grammatiche, leggi e decreti, con questo tipo di comunicazione si cerca di fare passare che se si vuole essere umanamente, socialmente e politicamente adeguati, bisogna adattarsi al paradigma dell’asterisco-schwa. Chi non lo fa, è un soggetto indegno, retrogrado, oppure, minimo, reca un danno ai buoni di cui sopra. Prima lo creo e poi faccio leva sul senso di colpa per ottenere ciò che voglio, giudicando e stigmatizzando pesantemente. faccio come è stato fatto a me, occhio per occhio, dente per dente. Un film già visto in altri contesti. Anche no.

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